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Il marchio dalle superstizioni

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Assaliti, mutilati, isolati dalla paura, gli albini in Tanzania ritrovano sicurezza e futuro con l’aiuto del Rotary e di Sorella Martha

di Servizio di

In pieno pomeriggio a Nyamizeze, Tanzania, Martha Mganga è nel suo elemento. 

Più conosciuta come Sorella Martha, cinquantaquattrenne, portavoce della sua comunità presso il Rotary, è una delle più impegnate attiviste del suo paese per i diritti delle persone affette da albinismo, una condizione ereditaria spesso malintesa, caratterizzata da pelle, occhi e capelli anormalmente chiari, difetti visivi ed estrema sensibilità alla luce solare. 

Mganga, lei stessa albina, aiuta da trent’anni le persone affette da questa condizione a istruirsi, a proteggersi dai dannosi raggi ultravioletti, e a combattere diffusi miti e superstizioni, come le assurde credenze propalate da stregoni senza scrupoli secondo cui le parti del corpo degli albini porterebbero fortuna e abbondanza. 

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Saada Kaema ha due attività, un negozio di tessuti e una bancarella ove vende cesti, stuoie e pentole da cucina. “Mia mamma sa fare tutto”, dice la figlia Mary, che lavora con lei.

Nell’ultimo decennio queste superstizioni hanno condotto a un’ondata di macabri assassinii e smembramenti di albini, e persino di violazioni di sepolture. Almeno 76 sono stati gli albini assassinati in Tanzania; altri 72 sono sopravvissuti alle aggressioni, spesso con gravi mutilazioni. 

Oggi Mganga, con un gruppo di facilitatori, partecipa a un seminario di comunità sostenuto dal Rotary, che riunisce sotto un tendone di plastica un gruppetto degli anziani di questo villaggio di circa 10.000 abitanti. 

Già vari suoi colleghi hanno parlato ai partecipanti – che sono in maggioranza maschi, leader civici e religiosi con addosso logore camicie dal colletto abbottonato, cui si sono uniti le due donne albine del villaggio, Happiness Sebastian, una donna di 24 anni e la sua figlioletta Keflin. 

Faye Cran, Rotariana, tiene in braccio Keflin Clement, la figlia di Happiness (a sinistra), in un evento di educazione e informazione della comunità tenuto nella regione di Mwanza.

La discussione, intesa a istruire la gente del posto sulle cause dell’albinismo, smontarne le tante forme di stigmatizzazione e promuovere il benessere della comunità degli albini, ha già trattato degli aspetti genetici, delle recenti aggressioni e dei numerosi miti che disumanizzano gli albini.

L’albinismo è una maledizione degli spiriti maligni – un abitante del villaggio dice che così gli hanno detto da piccolo. È quel che succede quando una donna africana dorme con un uomo bianco, secondo un altro. “Gli albini non muoiono”, dice un terzo. “Svaniscono e basta.”

Mganga interviene verso la fine della riunione, e riserva le sue parole per quello che ritiene essere il messaggio più importante della giornata. 

Le uccisioni sono un pericolo orrendo, dice al gruppo, ma per gli albini c’è un pericolo ancora più grande: il sole. Data la scarsità di melanina, il pigmento che colora pelle, capelli e occhi, agli albini manca un’adeguata protezione dai raggi ultravioletti del sole, e questo fatto, in un paese equatoriale come la Tanzania, risulta spesso letale.

Molte persone sono del tutto ignare di quali siano le giuste misure di protezione, e i tassi di cancro alla pelle sono allarmanti. Secondo Under the Same Sun, un gruppo canadese che promuove le condizioni degli albini in tutto il mondo, in quasi tutti gli albini della Tanzania si sviluppano lesioni precancerose a rischio già entro i vent’anni, e molti di loro muoiono prima dei quaranta. E se l’aspettativa di vita è in crescita grazie alla diffusione delle informazioni sul cancro e al miglioramento dell’accesso alle cure, gli albini delle aree più remote spesso sanno poco e niente dei rischi dovuti al sole.

Mganga, dunque, insegna al gruppo che chi è affetto da albinismo deve sempre cercare di stare all’ombra, soprattutto quando i raggi del sole sono più intensi, e deve coprirsi il più possibile — un consiglio che giunge nuovo a Happiness Sebastian, che sta lì a braccia e gambe scoperte. Dando l’esempio in prima persona, Mganga richiama l’attenzione su ciò che indossa lei stessa: maglia a maniche lunghe a coprire collo e spalle, gonna lunga fino alle caviglie e cappello floscio con l’emblema del Rotary che le protegge la testa e il viso.

“Il nostro peggior nemico è il sole”, dice, prima che il dibattito lasci il posto a una performance di danzatori locali e a un video educativo proiettato a tutto il villaggio. “Ma non per questo tanti di noi devono morire.”

Superstizioni e scienza

A dispetto dei miti, la realtà scientifica dell’albinismo è semplice. Le persone affette da questa condizione nascono con una mutazione di uno dei vari geni coinvolti nella produzione della melanina.

  • 33000.00+

    persone affette da albinismo in Tanzania

  • 76.00

    Tanzaniani affetti da albinismo assassinati dal 2000

  • 72.00

    Tanzaniani affetti da albinismo sono sopravvissuti agli attacchi dal 2000

L’albinismo oculo-cutaneo, che riguarda la pelle, gli occhi e i capelli (contrariamente all’albinismo oculare, che colpisce solo gli occhi), presenta ereditarietà autosomica recessiva, il che vuol dire che entrambe le copie dello stesso gene devono presentare la mutazione ed entrambi i genitori di un albino devono esserne portatori. Se sia il padre che la madre, non albini, hanno una copia mutata del gene, per ognuno dei loro figli la probabilità di nascere albino sarà del 25 per cento.

Globalmente, l’albinismo oculo-cutaneo colpisce circa una persona su 20.000. In molte parti dell’Africa, però, la prevalenza è più alta.

Murray Brilliant, un genetista del Wisconsin che è fra i massimi esperti mondiali sull’albinismo, stima che in Tanzania sia affetta da questa condizione una persona su 1.400, e che una su 19 ne sia portatrice. Per la maggior parte degli albini del paese, hanno accertato le sue ricerche, si può far risalire la mutazione a un antenato comune vissuto 2.500 anni fa. 

Malgrado il loro numero, da tempo gli albini della Tanzania sono stigmatizzati ed esclusi.

Per intere generazioni, i genitori hanno considerato normale uccidere alla nascita i neonati albini, preferendo questa rapida brutalità all’intera vita di vergogna e disgrazia che l’albino, si pensava, avrebbe portato a tutta la famiglia. 

Con la graduale diffusione del Cristianesimo verso l’interno del paese, queste pratiche hanno cominciato a svanire, ma miti e discriminazione sono sopravvissuti.

Mganga, prima figlia albina di due genitori non albini, ricorda un’infanzia trascorsa nell’isolamento.

Qual è la causa dell’albinismo?

L’albinismo è trasmesso dai genitori ai figli attraverso i geni. Ce ne sono due tipi.

  • Albinismo oculo-cutaneo: carenze di pigmento in occhi, capelli, peli corporei e pelle.
  • Albinismo oculare: carenze di pigmento negli occhi.

 

I vicini dicevano che la sua famiglia era “maledetta”, e i compagni di scuola la tenevano a distanza. Un’insegnante pur sapendo delle sue difficoltà visive — dovute alla ridotta pigmentazione della retina e dell’iride — la faceva sedere sempre all’ultimo banco, col risultato di farle abbandonare la scuola elementare. 

A 17 anni, fuggita da un matrimonio combinato con un poligamo, Mganga tentò il suicidio gettandosi in un fiume. La corrente in qualche modo la portò a riva, e da lì, alla fine, giunse a trovare uno scopo nella vita: un collegio religioso, un diploma, il lavoro di missionaria anglicana e da ultimo, una sua propria organizzazione non governativa, gli Albino Peacemakers – organizzazione partner del Rotary, con sede ad Arusha, sua città natale, che opera per educare comunità e famiglie sull’albinismo, per aiutare i bambini albini a studiare, e per facilitare gli indispensabili screening per i tumori cutanei.

Un’ondata di violenze

Mentre Mganga trovava la sua strada, però, la condizione degli albini in Tanzania subiva un drammatico peggioramento. 

A partire dal 2007, hanno preso a circolare notizie di albini, soprattutto bambini, cui veniva data la caccia per mutilarli di parti del loro corpo, in particolare nelle zone settentrionali del paese, nei pressi dei due massimi laghi africani – il lago Victoria e il lago Tanganika.

La superstizione che le parti del corpo degli albini portassero fortuna non era una novità, ma l’emergere di una significativa attività mineraria di estrazione di oro e diamanti ha portato a un afflusso di denaro che ha alzato la posta in gioco, dice Fred Otieno, responsabile per l’intervento sociale dell’Africa Inland Church of Tanzania, presente anch’egli come facilitatore all’incontro di Nyamizeze. 

C’era gente di fuori piena di soldi da investire, pronta a tutto pur di fare il colpo grosso. Gli stregoni locali, fiutata l’opportunità, presero a reclutare bande di criminali per procurarsi “talismani” ricavati dagli albini. “Affari e politica, qui, sono molto condizionati dalle superstizioni”, dice Otieno. “Se c’è qualcuno che dice e ripete, ‘Se ce l’hai (una parte del corpo di un albino), troverai l’oro’, a dargli retta saranno in tanti”. 

Neema Kajanja, vasaia, 37 anni, mantiene il figlio Baraka. Questi dice di essere ancora preoccupato per la sicurezza della madre, ma che “le cose vanno molto meglio”.

Coraggiose inchieste giornalistiche, inizialmente di reporter locali, hanno ben presto rivelato che dietro le macabre dicerie c’era in realtà una vera e propria crisi. 

Sotto mentite spoglie e con grave rischio personale, Vicky Ntetema, una giornalista tanzaniana della BBC, ha ripreso uno stregone mentre si offriva di venderle parti del corpo di albini — nel quadro di una più vasta indagine che ha provato l’esistenza di un vero e proprio commercio organizzato. 

Un rapporto della Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa ha trovato che un insieme completo di parti del corpo di un albino, con i quattro arti, genitali, orecchie , occhi e naso, si vendeva per 75.000 dollari nella città di Dar es Salaam — una somma enorme in un paese in cui il PIL pro capite annuo è inferiore ai mille dollari all’anno. 

Il rapporto riferisce di ben 300 bambini albini trovati “abbandonati o bloccati” in scuole per disabili, dov’erano stati spinti a cercare rifugio dalle autorità, e un numero imprecisato di altri bambini che si radunavano nei pressi di commissariati o chiese vivendo costantemente nel terrore.

Negli ultimi anni, le uccisioni sono diminuite, anche grazie all’aumentata vigilanza delle autorità governative. 

Dal 2008, l’alta corte della Tanzania ha condannato a morte almeno 15 persone per il loro ruolo in assassinii di albini. Le retate della polizia hanno condotto all’arresto di oltre 200 guaritori tradizionali abusivi, molti dei quali sono sospettati di legami con le violenze. Le autorità a livello regionale, distrettuale, circoscrizionale, divisionale e di villaggio, su ordine del primo ministro, hanno istituito commissioni di sicurezza e difesa, addestrate a stare in guardia contro possibili assalitori e trafficanti di parti di corpi umani. 

Projectus Rubanzibwa, amministratore del Commissariato regionale di Mwanza, dice che l’atteggiamento delle autorità è diventato “più che serio”, e nota che anche i comuni cittadini hanno un ruolo importante nell’identificare i sospetti trafficanti. 

Under the Same Sun, che mantiene un database delle uccisioni e delle aggressioni ai danni degli albini, e delle violazioni delle loro tombe, in tutta l’Africa, non documenta nuovi assassinii in Tanzania dal febbraio del 2015, quando un bambino di un anno venne assalito e fatto a pezzi nella regione di Geita, non lontano da Nyamizeze. (Il loro elenco, tuttavia, potrebbe essere incompleto, dato che questi incidenti spesso passano sotto silenzio.)  

Altrove, però, la crisi si è aggravata. 

Nel confinante Malawi, almeno 18 sono gli albini assassinati dal 2014, un’escalation che il governo del Malawi ha attribuito all’influenza dei trafficanti tanzaniani. In Tanzania le parti interessate, compreso Otieno, continuano a essere preoccupate per le centinaia di bambini albini tuttora in campi protetti o scuole per disabili, dove per il momento sono presumibilmente al sicuro ma da cui finiranno per dover andar via. 

Oltre a essere una “bomba a orologeria”, sostiene, queste istituzioni rafforzano le consolidate discriminazioni contro gli albini. “Si fa ancora più forte”, dice, “il pregiudizio che queste persone non sono normali, non sono come noi”. 

Entra in scena il Rotary

A diverse centinaia di miglia da Nyamizeze, oltre la vasta distesa del Serengeti e all’ombra del vulcano Monte Meru, Faye Cran siede nella sua veranda e ricorda come lei stessa e il Rotary hanno cominciato ad assistere la comunità degli albini.

Nata in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, Cran, che oggi ha 76 anni, si trasferì nell’Africa Orientale con la famiglia da bambina e qui vive da allora; la sua piccola attività di vendita di polli è cresciuta nel corso dei decenni in un impero tanzaniano del pollame. Ben conosciuta come “Maka Kuku” — “madre dei polli” in Swahili, la lingua del paese — è anche fra i Rotariani più impegnati della Tanzania. È socia del Rotary Club di Moshi, è stata presidente per il paese e presidente distrettuale per la Fondazione, e ha servito come contatto principale per nove sovvenzioni globali e oltre due dozzine di sovvenzioni paritarie e progetti da club a club. 

È stata soprattutto lei, inoltre, a spingere per l’istituzione nel 1996 del Centro Upendo per la Riabilitazione e l’Autosufficienza delle Vittime della Lebbra, che dà alloggio e sostegno a bambini e adulti emarginati dalle proprie comunità a causa di questa malattia – anch’essa oggetto di pesante stigma sociale.

Il Rotary finanzia eventi di comunità per l’educazione delle persone affette da albinismo in Tanzania.  

All’origine del lavoro di Cran con gli albini della Tanzania c’è l’esperienza diretta dell’impatto della violenza. Nel 2011, viaggiando in compagnia di Alan Suttie, socio del Rotary Club di Kirkcaldy, in Scozia, ha conosciuto un ragazzino albino sopravvissuto a un brutale attacco in cui gli è stato amputato il braccio sinistro e la mano destra, lasciandolo mutilato, sfigurato e profondamente traumatizzato. 

Suttie, a capo di una società scozzese per i ciechi, poi deceduto nel 2014, era già coinvolto nell’opera di sostegno di alcuni studenti con difficoltà visive in Tanzania, molti dei quali erano albini, e tornò a casa deciso a fare di più. 

In partenariato con Cran e altri Rotariani della Tanzania, il suo club fece realizzare un libro illustrato che narra la storia di una bambina la cui sorella albina viene assassinata, poi distribuito in varie scuole elementari di tutto il paese. 

Da qui si è arrivati nel tempo a tutta una serie di altre attività rotariane, fra cui due sovvenzioni globali: “Ausili visivi e sensibilizzazione sull’albinismo per i bambini della Tanzania”, attiva nel 2013 e 2014 con Cran e Suttie come contatti principali, e quella attualmente in corso, “Cambiare la vita delle persone affette da albinismo in Tanzania”, condotta da Cran con John Philip di Mirfield, Inghilterra.

Il successivo lavoro ha investito quasi ogni aspetto della condizione degli albini. 

Progetti da club a club in vari distretti hanno dato sostegno a scolari albini con materassi, zanzariere, ausili visivi, cappelli, e creme solari, e finanziato progetti per dare ad albini di comunità remote la possibilità di guadagnarsi la vita.  

Grazie alla sovvenzione per gli ausili visivi, degli optometristi scozzesi si sono recati ad Arusha per formare studenti di optometria del posto. 

Da allora a oggi, il loro istituto, il Patande Teachers Training College, ha donato esami, lenti di ingrandimento e, in qualche caso, prescrizioni per lenti telescopiche a oltre 300 giovani albini con disabilità visive. 

La sovvenzione in corso, attiva dalla fine del 2015, si è concentrata su educazione e istruzione, sostenendo oltre 70 incontri di comunità come quello di Nyamizeze, accanto alla costruzione di un’alleanza tra albini e guaritori tradizionali che lavora a sfatare i miti che hanno condotto a tanti assassinii. 

Il Rotary si concentra poi anche sulla prevenzione e cura del cancro attraverso la formazione di personale sanitario e la fornitura di attrezzature mediche. 

In cinque ospedali tanzaniani, il Rotary ha fornito strumentazione per crioterapia e contenitori di azoto liquido, assai efficace per asportare le lesioni precancerose prima che diventino un pericolo mortale. 

Ogni paziente che alla biopsia presenti segni di cancro viene inviato all’Ocean Road Cancer Institute di Dar es Salaam. The Tanzanian Albinism Society, un gruppo di sostegno e sensibilizzazione nazionale, e Standing Voice, una organizzazione non governativa britannica che sostiene le comunità marginalizzate, contribuiscono a coprire i costi delle cure.

Neema Kajanja, di Ukerewe, fabbrica vasi da 18 anni, e ha aumentato la produzione con le attrezzature donate dal Rotary.  

Lavorare, malgrado il sole

Combattere il cancro, però, non è solo questione di accesso alle strutture mediche. 

Come sottolinea Mganga nel suo intervento a Nyamizeze, coprirsi è altrettanto essenziale. Essenziale è pure guadagnarsi da vivere con un’attività che si svolga in interni o all’ombra — cosa non facile in un paese tropicale prevalentemente agricolo come la Tanzania, dove la maggior parte della gente passa ogni giorno parecchie ore piantando, diserbando o zappando i campi sotto il sole. 

All’incontro di Nyamizeze, uno dei partecipanti domanda come possa mai sopravvivere una persona senza badare ai suoi campi nel sole cocente. Dato che tanti albini, afflitti da problemi di vista, non finiscono le scuole, aggiunge l’uomo, le loro possibilità di trovare un lavoro da svolgere al chiuso sono ancora più scarse.

Lo stesso problema si fa sentire acutamente a Ukerewe, un’isola con 300.000 abitanti al margine meridionale del lago Victoria. Dato che la si può raggiungere solo con il traghetto, e ciò facilita l’identificazione degli estranei che vanno e vengono, nel periodo peggiore delle uccisioni l’isola si è guadagnata la reputazione di essere un posto sicuro per gli albini; qualcuno anzi si è trasferito qui dalla terraferma.

C’ è ancora questo senso, in tanta gente, di non volersi mischiare con gli albini. Quindi, abbiamo pensato, se potevamo fare delle cose in cui ci fossero due degli uni e tre degli altri, [i non albini] sarebbero stati più coinvolti.


Rotary Club di Moshi

Ma la comunità degli albini ha le sue difficoltà anche qui, fra cui quella di guadagnarsi la vita in sicurezza. “L’ottanta per cento delle persone qui fa il contadino o il pescatore”, dice Ramadhan Alfani, meccanico e presidente distrettuale della Tanzanian Albinism Society. “Ma per noi questi lavori sono un problema. Quando sto al sole troppo a lungo, la mia pelle cambia.”

L’attività di Alfani, che svolge all’ombra di un gigantesco albero linga, è il tipo di impresa che a suo avviso può aiutare la comunità albina a far crescere longevità e indipendenza finanziaria. Parla con noi mentre lavora, con un camice da meccanico rosso sporco di grasso, avvitando le candele nel vecchio motore di un pulmino Toyota grigio.

Con l’aiuto degli attrezzi donati dal Rotary, fra cui un compressore per la verniciatura, nel giro di diversi anni è riuscito a far crescere la sua attività, attirando tanti clienti da assumere tre dipendenti e mantenere la moglie e il figlioletto.

Come Alfani, diverse decine di imprenditori e artigiani albini, in tutta la Tanzania settentrionale, hanno beneficiato di sovvenzioni, prestiti o donazioni del Rotary. 

Nella regione di Arusha, il Rotary ha finanziato l’acquisto di macchine da cucire per un collettivo di sarte albine, nel quadro di un progetto in collaborazione con la ONG di Mganga, Albino Peacemakers. Nella città di Musoma, singoli Rotariani hanno messo a disposizione il capitale per micro-prestiti a cinque piccole associazioni, a ciascuna delle quali partecipa almeno un albino del posto, che poi hanno aperto botteghe di casalinghi e tessuti, e un salone di bellezza. Grazie ai fondi della sovvenzione globale, i partecipanti hanno inoltre potuto beneficiare di formazione imprenditoriale, sui rapporti con le banche e sulle competenze finanziarie di base.

Oltre a far crescere i redditi, il progetto ha lo scopo di smontare ogni forma di stigmatizzazione spingendo la gente ad accettare gli albini come soci in affari. “C’ è ancora questo senso, in tanta gente, di non volersi mischiare con gli albini, dice Cran. “Quindi, abbiamo pensato, se potevamo fare delle cose in cui ci fossero due degli uni e tre degli altri, [i non albini] sarebbero stati più coinvolti.”

La marcia del progresso

Come ogni iniziativa che comporti un cambiamento di mentalità, in queste attività per l’incremento dei redditi non sono mancate le battute d’arresto.

Contrariamente ad Alfani, Neema Kajanja, una vasaia di Ukerewe che ha anche lei ricevuto di recente degli attrezzi di lavoro dal Rotary, dice che negli ultimi tempi ha visto il suo reddito calare a causa della crisi economica generale e della chiusura del mercato più vicino, il che significa che deve fare più strada a piedi sotto il sole per vendere le sue merci. Nella sua proprietà, un forno finanziato dal Rotary resta inutilizzato, per motivi ignoti, e lei continua a far indurire i pezzi che produce in un rudimentale fuoco di sterpi.

A Musoma, a un anno dall’avvio del programma di microcredito, tre delle cinque piccole imprese vanno avanti e restituiscono i prestiti alle scadenze concordate. Un gruppo è fallito quando uno dei suoi membri è scappato con tutto il denaro. Un altro ha chiuso l’attività alla morte del suo leader, presidente regionale della Società Tanzania per l’Albinismo, per cancro della pelle. 

Deogratis Ibunga Wegina (a destra), socio del Rotary, gestisce progetti di microfinanza a Musoma, a vantaggio di persone affette da albinismo, come Helen Paul, proprietaria di un salone di bellezza.

Una cosa importante, però, è che gli imprenditori di Musoma e di Ukerewe dicono che le loro imprese hanno contribuito a combattere stigmatizzazione ed esclusione, che secondo la maggior parte degli interessati sono in declino nel paese. 

Secondo Cran, gli atteggiamenti di paura e rigetto verso gli albini si fanno sempre meno comuni — un mutamento delle idee a livello di base cui ha contribuito, dal 2008, l’elezione o la nomina di tre albini al Parlamento della Tanzania. 

Sia Alfani che Helen Paul, co-proprietaria del salone di bellezza di Musoma, dicono di non credere che il fatto di essere albini abbia fatto loro perdere dei clienti. 

Saada Kaema, di Musoma, che ha ricevuto un prestito e commercia in cesti di vimini, dice che i clienti meno ben informati delle zone rurali erano soliti evitare la sua bottega, ma nel tempo hanno cominciato a comprare da lei. Sta ancora in guardia, come la maggior parte degli albini della zona, contro possibili aggressioni, ed evita di andare in giro a tarda notte, anche se nel complesso si sente molto più al sicuro che in passato.

Tornando a Nyamizeze, è netta la sensazione di questo tipo di progresso. In un campo aperto si raduna un centinaio di persone, in attesa del video, “People Like Us” (“Gente come noi”), che sarà proiettato su uno schermo da un proiettore, e due degli anziani riflettono su ciò che hanno sentito al seminario appena concluso. 

Peter Misungui, the village head of security, insists his community has never embraced the superstitions that led to the killings. His nightly five-man security patrol, he adds, has always kept albinos here safe. Known as Sungu Sungu, the force gets its name from an army of ants. 

Peter Misungui, a capo della sicurezza del villaggio, insiste che la sua comunità non ha mai abbracciato le superstizioni che hanno condotto agli assassinii. La sua pattuglia notturna di cinque uomini, aggiunge, ha sempre garantito la sicurezza degli albini di qui. La chiamano Sungu Sungu: la sua forza di polizia prende nome dall’esercito delle formiche. 

“Ognuna di loro, da sola, è piccola”, dice. “Ma quando sono insieme mordono forte.”

Per altri aspetti delle esigenze e della sicurezza degli albini, però, Misungui e il suo amico Daudi Matagane, pastore Avventista del Settimo Giorno, ammettono che tante cose, prima di questa riunione, non le sapevano. 

Misungui, in particolare, dice di essere rimasto sorpreso nell’apprendere che la condizione si eredita da entrambi i genitori. Sia lui che Matagane aggiungono che non si erano mai resi conto del grande pericolo rappresentato per gli albini dal sole. 

L’averlo capito può essere decisivo per Sebastian e sua figlia, le due donne albine del villaggio. 

“Adesso faremo in modo che non lavori troppo, che si copra e stia all’ombra il più possibile”, dice Matagane parlando della giovane madre”. “Noi, come anziani, faremo tutto quel che va fatto per proteggerla.”

Aiutaci a salvare altre vite

  1. Martha Mganga, detta “Sorella Martha”, era considerata una maledizione dalla sua famiglia, e da ragazza ha tentato più volte il suicidio; ma poi si sentita chiamata a promuovere la pace attraverso la comprensione reciproca e da allora ha dedicato la sua vita ad aiutare le persone affette da albinismo. 

  2. Rehema Abdallah (a sinistra) e la sua socia Zulfa (a destra) possiedono un piccolo emporio. Le due donne hanno ricevuto dei prestiti attraverso delle sovvenzioni Rotary, che associano albini e non albini per ridurre la stigmatizzazione e diffidenza contro le imprese condotte dagli albini. 

  3. David Lukumay vive con la madre e cinque fratelli e sorelle tra i Massai nei dintorni di Arusha, Tanzania, e lavora al sole piantando fiori. Se gli si chiede se vuole sposarsi, sorride. “Prima la casa, poi la moglie.” Uno solo dei fratelli di David è affetto da albinismo.

  4. Elizabeth Juma, co-proprietaria del Tesha Hair Beauty Salon dell’isola di Ukrewre, considerata un rifugio per gli albini da quando, nel 2008, sono aumentate le violenze.

  5. Keflin Clement, ben protetta dal sole. Sua madre, Happiness, ha scoperto i pericoli del sole grazie all’educazione di base della comunità, sostenuta da una sovvenzione del Rotary. 

  6. Elias Chacha vuole diventare un medico. I suoi genitori vanno a trovarlo alla scuola elementare Mitindo Primary School, dove vive protetto. Il Rotary ha donato 44 letti e 88 materassi, nonché cappelli protettivi, creme protettive e lenti di ingrandimento per gli studenti con basse capacità visive.

  7. Ramadahan Alfani, meccanico, marito, padre e presidente della Tanzanian Albino Society dell’isola di Ukerewe.